Quando decisi il nome del mio primo blog, creato sotto la spinta di un amico caparbio che voleva provassi l’ebbrezza di confrontarmi con un pubblico di lettori invece di tenere quel che scrivevo per me e per una cerchia ristretta di persone, volli chiamarlo Pepli sintetici: era un modo per dire «Non aspettatevi grandi cose! Non sono la Saffo di turno!». Con “pepli” alludevo alla Grecia antica – e alla sua letteratura – e con “sintetici” alla qualità scadente della mia Grecia. Oggi torno con un altro nome, perché sono sinceramente arrivata alla conclusione che non abbia senso buttarmi sempre a terra da sola con tanta gratuità. Al mondo ci sono miliardi di abitanti pronti a farlo al posto mio.E’ tempo che una parte di me ha iniziato a cantarmi dentro alcune parole di Peter Tosh:«Don’t underestimate my ability! Don’t definate my character! Don’t belittle my authority! It is time you recognized my quality! I said, “I am that I am”».
Il nome di questo mio nuovo progetto di scrittura è Stormyteller. Non sono una fan degli inglesismi, ma trovavo calzante il gioco di parole che sottende questo nome. Lo inventai studiando per un esame di Teorie e tecniche della comunicazione di massa. Potrei tradurre “storyteller” con cantastorie. Ripetendo mi venne da dire “stormy teller”, ovvero, come amo tradurlo, “cantatempeste”. Ecco, quel che faccio è esattamente cantare tempeste. Non racconto storie, racconto turbinii e acquazzoni.
Ogni pezzo è una puntata del mio meteo interiore. (Se mi state immaginando come una versione rivisitata di un meteorologo incravattato, mettete nella cartella “cestino” il photoshop che avete appena creato nel vostro cervello.)
Se vi va di leggermi, prendete un ombrello, un impermeabile e qualche minuto sottratto al vostro caos quotidiano.
Stormyteller – For readers on the storm (La parte seria di me)
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